lunedì 30 maggio 2011

Coraggio

Riparto dal centro del mio cortile.
Bisogna riprendere il filo del discorso e per farlo si parte dal cuore delle storie.
Sta di fatto che non appena comincio la mia ricerca sul cippo, incrocio una signora della scala quinta.


Si chiama Maria ed è del 1923.
Una delle prime cose che mi dice è che "quel Mario Natili lì io lo conoscevo, quello che hanno ammazzato alle Fosse Ardeatine". Era un suo amico, con lui giocava. Sì, perchè Maria è una testaccina verace: suo nonno era fra i mattonatori che lastricarono la strada del tunnel di Via Nazionale ed era anche un maiolicaro. Maria ama raccontare che il nonno è colui che posava le maioliche nelle case di Testaccio.
Questo la fa sentire ancora di più parte di questa storia.


Eccola qui, accanto alla sua foto da ragazza e a quella del marito.
Ma prima di arrivare al matrimonio, Maria mi racconta molto altro.
Nella sua famiglia erano quattro fratelli, il padre muore presto. Durante la guerra, poi,  muoiono di stenti, a poca distanza l'una dall'altra, la madre e la sorella. Era l'agosto del 1944. Così lei, che è la più grande, si ritrova da sola ad allevare i suoi due fratelli. La guerra, la povertà, il modo per nascondere gli amici ebrei in casa, in una botola del soffitto. E poi le sirene dei bombardamenti e il rifugio del quartiere che è proprio sotto il condominio di Via Marmorata 169. Incombono anche qui, nella sua piccola storia, le Fosse Ardeatine: viene reclutata insieme ad altre due "figlie del popolo" per ripulire le Fosse. "Io quando so' entrata, so' svenuta subito. E questo perchè c'ho la protezione di Dio, perchè l'altre due si sono ammalate di infezione cadaverica". Una delle due compagne è morta, l'altra è sopravvissuta.
Quando parla Maria non si lamenta mai. Dice di essere fortunata: avere avuto questo "incidente sul lavoro" le ha garantito da un lato la sopravvivenza, dall'altro il lavoro.
Se c'è una parola che mi ricorda è "coraggio". Nel suo significato ancestrale di "cor habeo", avere un cuore, per affrontare, rialzarsi, ridere, vivere.


Qui sopra è sorridente e felice il giorno del suo matrimonio: suo marito è passato diverse volte sotto casa, in Via Marmorata 169 prima di chiederle la mano. Era un uomo di 30 anni "un soldato che era nell'esercito da dieci anni, mezzo malato, non sapeva dove andare e io ero 'na morta de fame".
Per il loro matrimonio tutto il quartiere si diede da fare: anzi, tutto il condominio.
"Al posto del camiciaio ce stava Linolana, grande pasticceria e forno che mandò su per festeggiare biscotti e dolci. Mentre al posto del ristorante cinese c'era il bar Collalti, un caffè- torrefazione che mandò alla festa le bibite, il vermut e il marsala". Don Schiaffino, il prete, che si era informato sul giovane soldato, fece una bella cerimonia, mentre un'amica le confezionò un bell'abito celeste e un turbante con la veletta.
E dopo il matrimonio, i figli, due, una femmina e un maschio, il lavoro come bidella in una scuola di Testaccio. E poi, purtroppo, Maria rimane vedova presto."Molti me hanno detto "Chi te l'ha fatto fa' a pijatte un soldato? Beh siamo stati coraggiosi tutti e due". Coraggio, appunto.
A volte, serve ripeterselo.
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