venerdì 17 febbraio 2012

Fatto "colle mani"


-sesta puntata-
Stavolta bisogna metterla la dicitura: “sesta puntata”. Per forza. Perché chi cominciasse a leggere da qui, non capirebbe nulla se prima non avesse letto i cinque post precedenti del blog. E quindi sì, siamo al sesto “episodio”, “puntata”. Anche se a me piace di più dire “racconto”.


Maria la mia vicina di casa in Via Marmorata 169 continua a parlare e quando racconta fa paura, non la fermi più. Ha quel modo particolare di raccontare degli anziani in cui una storia è irreversibilmente attaccata ad un’altra. Qualcuno nato con la tv direbbe: “sembra una telenovela”. A me piace invece pensare all’Iliade e all’Odissea, o alle favole che ti raccontavano da bambino, perché niente ti si impiglia dentro di più di un racconto orale. E allora mentre è lì che mi parla del cippo di Via Marmorata 169, ecco che “salta fuori” suo padre.
Perché suo padre non è uno mica qualunque. E’ uno che faceva le cose “colle mani”. Anzi. Ha costruito i pavimenti dove voi tutti scalpicciate da quando eravate ragazzini. Sì, è il “maiolicaro”, quello che ha posato i pavimenti degli appartamenti,dei luoghi pubblici della nostra vecchia Roma. Come alla Galleria Colonna. Lì il papà di Maria ha lavorato giorno e notte per consegnare il suolo su cui sono avvenuti tanti incontri, si sono incrociati tanti destini. E poi: avete presente i pavimenti di Testaccio? Quelli rossi e neri? Quelli che per un periodo sono stati visti come un marchio a fuoco, di case troppo vecchie e magari ricoperte di linoleum. Ed oggi invece recuperati perché il pavimento rosso e nero è “antico” e quindi per antonomasia “bello”. Ecco: il papà di Maria è l’artigiano della nostra stabilità, del nostro camminar dritti.



E all’improvviso mentre Maria racconta inizio a pensare a come cambiano le categorie del bello e brutto, ricco e povero, costoso e a buon mercato. 
C’è stata un’epoca in cui la plastica era bella, nuova, moderna e l’artigianato apparteneva ad un mondo che si voleva scomparisse al più presto. Perché lavorare “colle mani” equivaleva a dire fatica e sudore mentre l’industrializzazione ci portava dritti dritti nella modernità. Maiolicaro? “Oh mio dio no, meglio essere impiegato”.
Poi è successo qualcos’altro.
Ed è per questo “qualcos’altro” che ci incantiamo come bambini davanti ai mestieri antichi, quelli che si fanno “colle mani” e sempre si faranno.


Come quello di Sergio che rilega i libri alla maniera antica, come si faceva una volta in Via Giovanni Branca 56, a pochi passi dal mio condominio. Rilega con cura, precisione, intenzione. E su ordinazione, se vuoi, ti rilega un libro di poesie scelte da lui. Ogni libro lo fa diverso da un altro, perché ogni lettore è differente. La poesia non è il solo suo grande amore, l’altro è sua moglie che, guarda un po’, scrive poesie.
Comunque, eccolo qui sotto all’opera. 




Io l’ho conosciuto una mattina perché sulla porta a vetri del negozio era attaccata una poesia. Mi sono messa a leggerla e, davvero non so perché, mi sono un po’ commossa.


Allora lui mi ha aperto la porta e sorriso. Da allora, siamo diventati amici per la pelle.
La poesia, guarda un po’, parla proprio di un mestiere che si fa “colle mani”, il muratore.
Eccola:
I muratori cantano,
cantando sembra più facile.
Ma tirar su un edificio
non è cantare una canzone,
è una faccenda
molto più seria.
Il cuore dei muratori
è come una piazza in festa;
c'è un vocio,
canzoni
e risa.
Ma un cantiere non è una piazza in festa:
c'è polvere e terra,
fango e neve.
Spesso le mani sanguinano,
il pane non sempre è fresco,
al posto del tè c'è acqua,
qualche volta manca lo zucchero,
non tutti qui sono eroi,
e gli amici non sempre
sono fedeli.
Tirar su un edificio
non è cantare una canzone.
Ma i muratori
son gente cocciuta.
E l'edificio vien su,
vien su,
sempre più in alto
e più in alto
s'arrampica.
Alla fine del primo piano
stanno già vasi di fiori,
e sopra il tetto del garage
gli uccelli sulle ali già portano il sole.
In ogni trave c'è un battito di cuore,
in ogni pietra.
E l'edificio vien su,
magnifico,
cresce
nel sangue e nel sudore.
(Nel  sangue e nel sudore - Nazim Hikmet)

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