mercoledì 16 gennaio 2013

Nella memoria si inciampa


-settima puntata-
Lunedì è stato un giorno particolare, per Via Marmorata 169. Hanno posato una pietra, una memoria che si riallaccia ai sette nomi del cippo all’interno del cortile.


Lo hanno fatto davanti al portone. Qui. 


Hanno incastrato un sanpietrino un po' diverso da tutti gli altri, per incuriosire, far fermare, "obbligare" a un ricordo, una discussione, un racconto.



Questa qui è una pietra d'inciampo, una delle tante pietre che fanno parte dell'opera dell'artista tedesco Gunter Denmig che ci obbliga tutti a "inciampare", fermandosi sui nomi e le vite delle vittime della violenza nazista.

Tra i sette condomini ricordati sulla pietra al centro del cortile c’è anche lui, Adolfo Caviglia.



Gunter Denmig ha cominciato a disporre le "Stolpersteine" nel 1995 in tutta Europa. A Testaccio già erano state poste, proprio nella strada che parte da Via Marmorata, Via Amerigo Vespucci 41. Proprio qui, sotto Elsa Morante:


La pietra d’inciampo non è nient'altro che una piccola targa di ottone, posta davanti alla porta della casa in cui abitò il deportato.
Solitamente sono incisi il nome della persona deportata, l’anno di nascita, la data, il luogo di deportazione e la data di morte.


Quest'opera racconta la tenacia di ricordare chi era ridotto solo ad un numero. Le pietre d’inciampo non ricordano solo le vittime ebree ma anche tutti i gruppi “indesiderabili” per la dottrina nazista come potevano essere gli oppositori politici, gli omosessuali, i Rom, i Sinti. Quando Gunter cominciò a metter pietre nacque un dibattito in Germania: il proprietario dell’immobile poteva non sempre gradire l’idea di essere costretto ogni giorno a ricordare le atrocità naziste.

È successo anche questo negli anni '50, gli anni della ricostruzione del nostro Paese, mentre nella palazzina si cercava di raccogliere i soldi per il cippo di Via Marmorata 169, una pietra di marmo a memoria degli amici con cui si era cresciuti, con cui magari si era giocato "a palla": una dei condomini si è ritratta, non ha voluto partecipare alla "colletta". La figlia ricorda così le parole di sua madre: “No io il nome di Benedetto mio non voglio vederlo tutti i giorni su quella lapide, entrando ed uscendo di casa. Preferisco dimenticare”. Nel cippo, quindi, manca un ottavo nome sparito all’ultimo. Ma la sua storia non è andata perduta. 

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